
Dal 1 gennaio 2007 sono diventata orgogliosamente cittadina comunitaria con la speranza che da quella data il soggiorno in Italia sarebbe diventato ancora più facile. E' qua che mi sbagliavo di molto. Purtroppo l'entrata del mio paese nell'Unione Europea ha complicato molto le cose. La normativa italiana che da aprile del 2007 regola il soggiorno dei cittadini comunitari in Italia e che dava voce alla direttiva europea in materia ha suscitato scintillanti dibattiti politici e giuridici. Non voglio adesso giudicare in nessun modo questa normativa, però oggigiorno, moglie comunitaria di un cittadino italiano ho più problemi “amministrativi” che qualche anno fa quando ero una extracomunitaria con un permesso di soggiorno rinnovabile annualmente. Elenco alcune esperienze negative: l'iscrizione anagrafica al comune di Rimini, il rilascio della Carta d'identità, gli uffici del Comune tra quali sembra che il dialogo non esista, l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale che mi ha dimostrato che lo stesso dialogo non esiste neanche tra l'ASL e il Comune, la difficoltà di trovare un lavoro perché laureata all'estero. Nel 2008, l'aver dovuto affrontare tutti questi problemi assurdi mi ha portato verso una conclusione: l'unica cosa che mi tiene oggi in Italia sono solamente gli affetti personali. Tutto ciò perché in Italia è troppo complicato o non si vogliono mettere le basi di un'amministrazione snella, perché i sistemi informatici non sono usati adeguatamente, perché le leggi sono poco chiare e il cui senso viene ulteriormente complicato con così detti “chiarimenti”, circolari e altre forme di “spiegazione” post legem, perché l'immigrazione rimane purtroppo oggetto solo di battaglie politiche ed elettorali, perché l'ipocrisia la fa da padrone.
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