Tante volte mi sono chiesta cosa mi abbia spinto a lasciare il mio paese e a scegliere l'Italia come la mia seconda casa. Una volta non trovavo difficoltà a darmi una risposta: il desiderio di studiare all'estero ed ampliare le mie conoscenze, la possibilità di ricercare nuovi campi di studio, la speranza di trovare un lavoro che mi desse soddisfazioni. Parte di questi desideri hanno avuto un riscontro nella realtà: ho iniziato con molto entusiasmo un dottorato che ha finito per deludermi, ho lavorato per più di tre anni in un dipartimento di politiche comunitarie di Unioncamere nell'ambito della progettazione europea, ho fatto molte amicizie e pensavo di provare la mia strada verso Bruxelles. Ero extracomunitaria (sinceramente questo appellativo non mi ha mai dato fastidio, l'ho preso come un'inquadramento territoriale e non come un “epiteto”), avevo un regolare permesso di soggiorno per il cui rilascio non ho mai fatto più di una mattinata in questura, beneficiavo di prestazioni sanitarie come un cittadino italiano. Diciamo che dal punto di vista della così detta regolarizzazione amministrativa non ho mai avuto problemi come cittadina extracomunitaria.
Dal 1 gennaio 2007 sono diventata orgogliosamente cittadina comunitaria con la speranza che da quella data il soggiorno in Italia sarebbe diventato ancora più facile. E' qua che mi sbagliavo di molto. Purtroppo l'entrata del mio paese nell'Unione Europea ha complicato molto le cose. La normativa italiana che da aprile del 2007 regola il soggiorno dei cittadini comunitari in Italia e che dava voce alla direttiva europea in materia ha suscitato scintillanti dibattiti politici e giuridici. Non voglio adesso giudicare in nessun modo questa normativa, però oggigiorno, moglie comunitaria di un cittadino italiano ho più problemi “amministrativi” che qualche anno fa quando ero una extracomunitaria con un permesso di soggiorno rinnovabile annualmente. Elenco alcune esperienze negative: l'iscrizione anagrafica al comune di Rimini, il rilascio della Carta d'identità, gli uffici del Comune tra quali sembra che il dialogo non esista, l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale che mi ha dimostrato che lo stesso dialogo non esiste neanche tra l'ASL e il Comune, la difficoltà di trovare un lavoro perché laureata all'estero. Nel 2008, l'aver dovuto affrontare tutti questi problemi assurdi mi ha portato verso una conclusione: l'unica cosa che mi tiene oggi in Italia sono solamente gli affetti personali. Tutto ciò perché in Italia è troppo complicato o non si vogliono mettere le basi di un'amministrazione snella, perché i sistemi informatici non sono usati adeguatamente, perché le leggi sono poco chiare e il cui senso viene ulteriormente complicato con così detti “chiarimenti”, circolari e altre forme di “spiegazione” post legem, perché l'immigrazione rimane purtroppo oggetto solo di battaglie politiche ed elettorali, perché l'ipocrisia la fa da padrone.